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L’invito al Ramadan e il rischio fondamentalismo

di Souad Sbai

E’ arrivato il momento di cambiare il modo con cui il mondo mussulmano italiano continua a venir rappresentato. Sull’edizione di Avvenire dello scorso 4 maggio viene pubblicato un articolo firmato da Maurizio Ambrosini, sociologo dell’Università di Milano, dal titolo “Da domani il Ramadan. Giusto spazio alla fede (anche islamica)”: un intervento che, accanto ad alcuni passaggi positivi, risulta del tutto allineato a una retorica problematica.

Non convince innanzitutto il tono generale che lo stimato docente milanese sceglie di usare parlando del Ramadan, il mese del digiuno islamico, di cui, scrive Ambrosini, le istituzioni dovrebbero in qualche modo farsi carico al fine di “regolare le modalità di espressione di un’esigenza umana incomprimibile come quella di praticare insieme e pubblicamente la propria fede religiosa”. Ho paura che così si possa alimentare una visione del mondo arabo sbagliata e ormai da tempo superata nei fatti. Ci sono oggi, in Italia e in Europa, tantissime persone di cultura e di tradizione islamica che, conservando appieno tutti i tratti del proprio retaggio, non basano la propria esistenza quotidiana sulle prescrizioni religiose e che per questo nei prossimi giorni porteranno avanti con grande serenità le proprie abitudini alimentari, vivendo il periodo del Ramadan nella misura in cui gli sembra consono e opportuno.

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